vendita in danno di azioni non liberate


Not. Raimondo Zagami, 07.10.2001

Mi trovo a dover procedere in una spa ad un aumento di capitale di poche migliaia di lire, necessario per raggiungere una soglia minima predeterminata dalla legge per lo svolgimento di una certa attività.

Questo perché l'aumento di capitale precedentemente deliberato (ed omologato) era affetto da alcuni errori di dati e di calcoli che producevano un risultato di capitale deliberato di poco inferiore a quello effettivamente voluto e richiesto (si doveva emettere una azione in più di quanto deliberato).

Ora, trattandosi di poche lire, la prima cosa che ho pensato è stata di fare un aumento gratuito mediante utilizzo di riserve: la società però attualmente è in perdita, quasi un terzo del capitale, e non ha più alcuna riserva disponibile e resta solo la strada dell'aumento a pagamento.

Però un socio non ha effettuato ancora i versamenti sulle azioni sottoscritte con il precedente aumento ed in base all'interpretazione dell'art. 2438 c.c., non pare consentito procedere in tali condizioni ad una delibera di aumento di capitale a pagamento.

Il socio che non ha ancora versato, tra l'altro, è un ente pubblico, il quale mosso ovviamente da ragioni politiche e vincolato da tutte le sue procedure di bilancio, non si sa, se e quando verserà le somme richieste.

La società ha la massima urgenza di adeguare il suo capitale al minimo richiesto, pena l'esclusione da alcune importanti concessioni.

Escludendo la possibilità di una rettifica, non resta che attivare la procedura ex art. 2344,  c.c., per la vendita in danno delle azioni non liberate o per l'eventuale riduzione del capitale, la quale ha tempi che nel caso in questione potrebbero diventare molto lunghi.

Lo statuto sociale, infatti, prescrive che i versamenti sulle azioni sono richiesti ai soci mediante chiamata pubblicata sulla gazzetta ufficiale con preavviso di 60 giorni e tale pubblicazione non è stata ancora fatta.

Quindi, credo che la procedura ex art. 2344 c.c potrebbe comunque partire solo dopo la decorrenza di questi 60 giorni, che renderebbo il socio da semplice debitore a moroso (vedi la sentenza Cass. 21/2/1995 n. 1874 in Le società 6/1995).

Mi chiedo, inoltre, se l'eventuale procedura ex art. 2344,  c.c., debba tenere conto del diritto di prelazione attribuito dallo statuto agli altri soci in caso di trasferimento delle azioni.

Gli altri soci oggi sono tutti enti pubblici ed in caso di un loro acquisto delle azioni vendute in danno richiederebbero tempi lunghi per la predisposizione di tutti gli atti deliberativi e di bilancio.

L'art. 2344, c.c., a differenza dell'omologo art. 2477, c.c., applicabile alle srl, non menziona alcun diritto di preferenza per i soci.

M. Maceroni, La vendita in danno di azioni e quote sociali, in Il diritto fall., 1999, p. 84, sulla base della ratio della norma che a suo avviso tutelerebbe unicamente l'interesse dei terzi creditori, sembra escludere un'offerta in prelazione ai soci.

Infine, la società, oggi partecipata unicamente da enti pubblici, intende procedere il prossimo anno al collocamento azionario a privati della maggioranza del proprio capitale.

L'eventuale vendita delle azioni ex art. 2344,  c.c., fatta a dei privati potrebbe costituire un'anticipazione della privatizzazione della società?

Dovrebbe, pertanto, essere applicato il D.L. 332/1994 in materia di dismissioni?

 

Né reputo che si ricada nella fattispecie dell'art. 2357 bis n. 1,  c.c., che contempla il caso della riduzione per esuberanza.